ARABIA SAUDITA
Business Girl in Arabia Saudita
Arabia Saudita, “Supplication before a journey”
Oh Allah! I seek refuge in you from the difficulties of the journey, from unwanted situations..
La Turkish airlines benedice anche questa volta il mio volo in partenza da Istanbul, direzione Arabia Saudita. Atterrerò a Jeddah, l’aeroporto della Mecca, ecco perché la compagnia aerea mi ha omaggiato di parasole e borsello brandizzati. Quest’ultimo contiene un tappettino e un cronometro per la preghiera, un igienizzante “per l’Hajj”, dei copripiedi per l’accesso ai luoghi di culto, infine, un biglietto ben augurale della Turkish: We wish you a successful prayer pilgrimage. May Allah accept.

Nelle file posteriori c’è la nazionale saudita femminile di chissà che sport, sono tutte ragazze sotto la trentina, esibiscono fieramente la loro polo verdi “Saudi Arabia” così come i loro capelli lucenti, folti, corvini, liberi. Ricordo la prima volta che atterrai nel paese, era un volo pieno a tarda notte che mi avrebbe portato a Riyad, la capitale, in occasione della fiera di settore a cui avrei partecipato. Ero l’unica ragazza occidentale nel velivolo, ricordo che per puro caso finii accanto a un collega commerciale estero che si dirigeva allo stesso evento: “Che ci fa una ragazza così giovane e sola in un volo per Riyad?”. Poi iniziammo a chiacchierare e scoprimmo pure di condividere parte del nostro network professionale. Ricordo sorridendo quella notte, temevo ci potessero essere problemi ai controlli del visto e avevo chiesto appositamente a un cliente se uno dei suoi autisti poteva scortarmi fino all’albergo. Mi ero comunque scaricata un’app di ridesharing tutta al femminile, Leena, in auge nel paese dal 2018, quando finalmente le donne furono autorizzate a guidare. In realtà avrei presto scoperto come i normali uber e careem fossero mezzi sicuri e funzionali ai miei spostamenti in città.

Non pretendo molto dai miei stay alberghieri quando viaggio per business. E’ sufficiente che siano semplici, puliti, h24, ho smesso di sperare che la colazione includa il mio stupido yogurt di routine. Se sono fortunata riesco a opzionare qualche hotel dotato di palestra, specie dopo lunghi voli con scalo e intercontinentali. Provo così a riaggiustare il battito con della sana attività fisica, in questo modo credo di attenuare gli inestetismi femminili del microcircolo e gli effetti del jet lag. Prima di prenotare l’hotel di Jeddah ho quindi contattato la reception per assicurarmi di poter accedere alla gym. Dopo i miei due precedenti soggiorni a Riyad, sapevo che sarei potuta incappare in un hotel con la palestra riservata a uomini e donne in turni distinti, oppure in una “Fitness gym women only” negli spazi pubblici. La prima volta nella capitale il receptionist mi aveva infatti impedito di farmi una corsa in tapis roulant il mattino, anche se il turno degli uomini era completamente vuoto. Mi sembrava una follia, anche se mi ero detta di fare la brava. Invece no, me ne andai nel cortile posteriore dell’hotel, in un quartiere costruito sulla sabbia dove non sembrava esserci anima viva, e corsi, lontano da sguardi indiscreti, sapevo di non essere vestita a norma, ero in bermuda e maniche corte. Nel paese le donne straniere possono dal 2018 circolare senza vestire la abaya, senza coprire il capo, è sufficiente che vestano indumenti non attillati che coprano fino a sotto il ginocchio e sotto il gomito, non esagerando col make up. La maggior parte delle saudite invece vestono ancora il niqab, solo alcune mostrano i meravigliosi tratti arabici e la pelle olivastra alla luce del sole, anche se a volte mi destabilizza notare come molte di loro operino all’iride per arrivare a mostrare gli occhi azzurri. In tutti i paesi musulmani, specialmente qui, le incontro regolarmente a capo scoperto alla toilette, sorridenti ed estremamente solidali tra di loro, intente a pettinarsi, farsi belle, sciacquarsi finalmente dopo aver sofferto le alte temperature sotto gli abiti neri. Ne ho conosciuta casualmente qualcuna nei coffee shop o per lavoro. Sempre da poco è loro permesso uscire sole nei luoghi pubblici, così come riunirsi con persone di sesso opposto senza doversi separare in sale riservate a uomini e donne. La prima volta che conobbi un’imprenditrice saudita fu qualche anno fa alla fiera di Dubai, riuscivo a vederle solo gli occhi, ed era comunque così convincente, determinata.


Quando arrivai la prima volta in fiera a Riyad incontrai un’altra collega italiana, eravamo le uniche donne occidentali vestite in completo e mocassini. Oltre a noi c’erano al massimo altre dieci donne del posto. Mi chiedevo.. “come riusciranno a relazionarsi con me i colleghi dell’altro sesso?”. La verità è che non ho mai incontrato problemi. Ho sempre e solo riscontrato piena attenzione, cortesia, rispetto, fossero i miei interlocutori sauditi, giordani, egiziani, sudanesi o quant’altro. Mi piace pensare che questo atteggiamento non faccia solo parte del piano di apertura e internazionalizzazione chiamato Vision 2023, con cui il principe Mohammed Bin Salman guarda all’Expo e alla modernizzazione del paese tramite grandi opere infrastrutturali, costruzione di nuove città, boost del turismo, soft power calcistico, digitalizzazione e addirittura l’apertura del primo negozio di alcolici nel quartiere diplomatico della capitale. Basta visitare i mall, il distretto finanziario KAFD, la cittadella storica di Dir’iyya, e i locali di alta ristorazione e ospitalità di Riyad, così come la meravigliosa città vecchia di Al Balad, a Jeddah, risalente al XVI secolo e oggi protetta dall’Unesco, per comprendere quanto l’Arabia Saudita abbia da offrire tentando di mostrarsi “agli altri”.
Forse è perché rientro negli “altri” che riescono a relazionarsi con me, seppure per ragioni culturali alcuni sauditi continuino a non stringermi la mano agli appuntamenti e preferiscano porgersi la mano sul cuore. In cambio le donne saudite mi baciano tre volte, abbracciandomi forte, sono molto premurose ed affettuose.

Una di queste sere ho cenato a Jeddah con il cliente. Mentre fumavamo la shisha e T mi raccontava della straordinarietà dell’Islam auspicandosi che prima o poi mi convertissi per beneficiare della vastità di Questa Fede, ogni tanto la sua terza moglie e la figlia adottiva cercavano di inserirsi dandomi consigli di skincare e suggerendomi di applicare sulle unghie aglio e limone per mantenerle sane, mostrandomi tutorial snapchat a supporto. “Assaggia la zuppa di cartilagini, ti farà la pelle morbidissima”.
Prima di rincasare, M, il figlio della prima moglie, mi ha portato sulla Corniche per affacciarmi al Mar Rosso, gli avevo detto che mi piaceva il mare. Adoro sentire l’odore di salsedine tra i capelli. Lui ha 29 anni, e in questa vicinanza anagrafica sento di potermi togliere finalmente una curiosità: “Ma M, per favore spiegami, come fai a scegliere la tua futura moglie senza poterla vedere per via del niqab?”
“Beh, di solito sono le mamme che si occupano della selezione delle nostre spose, loro possono vederle in ambiente domestico, poi ci invitano a prendere un tè in casa loro, alla presenza di tutti, perché possiamo approvare”
“E poi?”
“Beh, se vanno bene si inizia il fidanzamento e possiamo comparire assieme nei luoghi pubblici, sempre mantenendo un atteggiamento appropriato, così abbiamo la chance di conoscerci”.
“E poi?”
“Poi se siamo convinti le sposiamo.” “Oppure?” “Oppure rompiamo il fidanzamento”.
“E che ne sarà di queste povere ragazze se non passeranno l’esame?”
“Inschiallah forse riusciranno a trovare qualche altro marito”.
“Ok. Ma invece, hai delle amiche all’università con te?”
“Le università sono divise per uomini e donne, perciò non posso conoscere lì la mia futura sposa. Ma vedrai che con il nostro Principe presto le cose cambieranno e anche l’università sarà mista, allora sarà il disastro”.
“Dai, stai tranquillo. Intanto in bocca al lupo per l’esame di domani, cyber security, giusto?”
“No, quello era oggi, domani ho solito esame sul Corano”
“Yalla, sai già tutto. Grazie di avermi portato a vedere il mare, M.”