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TURCHIA

Tre donne in un Kiraathane turco​

È il sesto giorno del nostro viaggio nell’entroterra turco e alle prime luci dell’alba siamo già pronte per visitare le celebri terme di Pamukkale. Questo sito, dichiarato Patrimonio Culturale dell’Unesco, si erge maestoso accanto alle rovine di Hierapolis, una città antica di epoca ellenistico-romana diventata oggi una preziosa area archeologica. La mattinata è dedicata all’esplorazione di questo luogo unico, tra piscine di travertino e antiche vestigia che raccontano storie millenarie. L’atmosfera ricca di storia e bellezza ci avvolge, preparandoci per la prossima tappa del nostro viaggio.

La voglia di aggiungere un capitolo inaspettato alla nostra avventura ci ha spinto a improvvisare una tappa intermedia, un luogo che non avevamo pianificato. Partiamo nel primo pomeriggio verso Bozcaarmut, un villaggio nel distretto di Pazaryeri, provincia di Bilecik. La località è consigliata per la presenza del lago Bilecik e per essere un’oasi di serenità immersa nella natura.

Siamo noi tre, giovani donne al volante, con il mondo che scorre fuori dai finestrini e l’asfalto che diventa il nostro tappeto rosso. Sedute al timone del nostro fedele compagno di viaggio, ci immergiamo in un universo parallelo dove la guida diventa più di un mezzo per raggiungere una meta: un viaggio dentro noi stesse. Le ore scorrono e noi siamo serenità in movimento. Scherziamo, ridiamo, cantiamo, parliamo di tutto e di niente, mentre la strada diventa il palcoscenico delle nostre avventure.

Agli ultimi chilometri dall’arrivo, il panorama fuori inizia a mutare. Ci stiamo avvicinando ad una località montana e l’aria stessa sembra appannare il parabrezza rendendo l’atmosfera ancora più avvolgente. Fuori, le strade si tingono di bianco, un manto candido di neve che trasforma il paesaggio in un dipinto invernale. Senza accorgersene, la strada inizia a farsi impervia, conducendoci attraverso una serie di tornanti incorniciati da una vegetazione sempre più fitta.

La guida diventa una sfida che mette alla prova le capacità del nostro mezzo, le cui ruote mostrano scarsa aderenza su un pavimento ghiacciato. La nostra spensieratezza cede il passo a un brivido di apprensione. Ci stringiamo le une alle altre, cercando conforto in quel piccolo spazio su quattro ruote che ora si fa sentire più sicuro, ma anche più vulnerabile. Eppure, nonostante la paura che si fa strada nei nostri cuori, c’è un senso di unità più forte che mai. Siamo noi tre, viaggiatrici intrepide, unite da un legame unico che rende ogni curva della strada, ogni scorcio innevato, una parte indimenticabile del nostro viaggio attraverso la Turchia.

Giungiamo incolumi a Bozcaarmut e, con un sospiro di sollievo, parcheggiamo frettolosamente il nostro van nella prima piazzola disponibile. Ci affrettiamo a scendere, desiderose di ridurre quel senso di estraneità che avvolge il piccolo villaggio di montagna. Il silenzio è palpabile, il riverbero della luna piena sulla neve accarezza i tetti delle case, tutto lì fuori è immobile ed apparentemente addormentato. La notte è fonda ma una luce calda, proveniente da un casolare dalle forme regolari, spezza la monotonia del buio.

Il freddo pungente all’esterno ci spinge spontaneamente a scrutare da vicino quel casolare, a cedere alla curiosità che ci solletica. Lara va in esplorazione, ma ritorna poco dopo richiamandoci ad avanzare con lei. Ci accingiamo alla porta che, con un cigolio fragoroso, resiste all’apertura, come se varcassimo un confine sottile tra il noto e l’ignoto.

Subito percepiamo l’atmosfera ricca di storia e tradizione che pervade il luogo. Siamo accolte da uomini adulti e anziani, ognuno immerso nei propri affari. Il locale si presenta con pareti semplici e intonacature ingrigite, il pavimento in assi di legno bruno ci racconta di una storia assorbita. Tutto si concentra in un ampio salone e uno stanzino di servizio dotato di un balcone che si affaccia sulla sala principale. Lontano dall’aspetto di un tradizionale bar, l’ambiente ci rimanda più ad un caloroso e semplice luogo domestico.

Al centro della stanza troneggia una piccola stufa in ghisa che, emanando un calore avvolgente, sembra essere il cuore pulsante del locale. Tavolini in legno, vestiti da tovaglie sgualcite di colore rosso, punteggiano lo spazio. Ogni tavolo ospita gruppi di amici, alcuni immersi nel gioco delle carte, altri intenti a guardare la TV. Conversazioni vivaci si svolgono quella sera, mentre alcuni semplicemente si abbandonano all’ozio totale sulle sedie.

Il primo passo oltre la soglia sembra fermare il tempo per un istante. Un silenzio brevissimo avvolge il locale, ma ormai ci siamo e il calore ci spinge ad avanzare. Cerchiamo il nostro posto verso l’unico tavolino libero, rassicurate dal cenno di un sorriso genuino e caloroso di un anziano seduto verso il fondo della sala.

Da subito, emergono chiaramente le nostre personalità attraverso reazioni distinte.

Lara, con il suo spirito libero e avventuroso, estrae senza esitazioni la macchina fotografica per dare sfogo alla crescente emozione e all’entusiasmo che la pervade. Si sposta con agilità da un angolo all’altro, quasi danzando tra le ombre e le luci, cercando incessantemente la posizione perfetta per cogliere le inquadrature più suggestive. Gli uomini presenti nella sala non mostrano alcun segno di fastidio per il cliccare incessante dell’obiettivo. Anzi, sembrano abbracciare la situazione con un’aura di complicità, assumendo pose quasi statiche, come se partecipassero spontaneamente a un tableau vivant.

Martina, dall’animo più riflessivo e cauto, si avvolge nel suo cappotto come in un rifugio sicuro. Il suo sguardo, teso e preoccupato, fa trasparire una crescente inquietudine. Con voce insistente e martellante come il battito di un cuore affannato, continua ad esortare di tornare alla vettura. Il suo desiderio di sicurezza e familiarità traspare in ogni gesto e nelle parole cariche di apprensione.

Nicole si trova in una posizione delicata, bilanciandosi tra due opposti: da un lato, tenta di contenere l’espansività di Lara che con la sua natura entusiasta potrebbe trasmettere un senso di invadenza; dall’altro, si impegna a rassicurare Martina, visibilmente non a suo agio per la situazione inaspettata. Cerca di cogliere l’esperienza con spontaneità e apertura quindi, nonostante la barriera linguistica, si avvicina al cameriere per ordinare dei chai tea. Alla fine, accende una sigaretta immergendosi nel gesto come se fosse un rituale consolidato, nel tentativo di trasmettere un senso di condivisione e rispetto per le usanze locali.

Veniamo premurosamente servite con il classico ed essenziale servizio da tè turco, accompagnato da una zolletta di zucchero. Iniziamo a rilassare le tensioni nei nervi, percependo gradualmente un senso di sollievo: sembra che la nostra presenza abbia trovato armonia con l’ambiente circostante. Possiamo ora contemplare con attenzione tutto ciò che ci circonda.

Concludiamo la nostra bevanda e, ancor prima di accennare a voler replicare il giro, il cameriere ci raggiunge con un nuovo servizio fumante. Il copione si ripete: si fumano sigarette, si sorseggia il tè e ognuno prosegue nei propri affari, discussioni, pensieri, silenzi. I gatti, accoccolati davanti al fuoco, cercano ogni tanto attenzioni solleticando le gambe dei presenti. A spezzare questo ritmo, vi è l’intermittenza sporadica delle risate fragorose o degli schiamazzi che risuonano dal tavolo di gioco.

Terminata la seconda tazza, anticipiamo le premure del cameriere rimboccandoci prontamente il cappotto. Ci avviamo verso la porta del locale come chiudendo un capitolo, lasciandoci alle spalle una nuova avventura da raccontare. In quel momento, gesti e sguardi si fondono per comunicare ciò che le parole non potrebbero esprimere completamente. È un addio sereno e appagante, come di chi lascia un luogo arricchito da nuova conoscenza.

Solo il giorno seguente, grazie alle preziose indicazioni di un amico turco, abbiamo fatto una scoperta straordinaria. Il luogo che avevamo visitato con così tanta spontaneità era nient’altro che un Kiraathane, un rarissimo esemplare di caffetteria rimasto fedele alla tradizione ottomana. Posizionato in un villaggio montano di appena 215 abitanti, questo Kiraathane si ergeva come una roccaforte contro le influenze esterne, conservando intatta la sua essenza storico-culturale, che, invece, era andata persa con il tempo nelle grandi e caotiche città come Istanbul.

In Turchia, il caffè ha svolto un ruolo significativo nella vita sociale. L’apertura delle prime caffetterie, chiamate appunto “Kiraathane,” risale al 1554. Questi luoghi divennero centri vitali di incontro sociale, promuovendo il senso di appartenenza e comunicazione tra gli individui maschi. Tuttavia, le caffetterie sono state spesso oggetto di critica e divieti da parte delle autorità, che le vedevano come possibili focolai di ribellione. Nonostante questo, però, si sono disseminate nel territorio turco affermandosi come un autentico simbolo culturale. Ci è stato detto che “entrare in un Kiraathane non è cosa per donne” ma, ignare della tradizione dei Kiraathane, abbiamo superato la soglia senza esitazioni, sfidando le consuetudini ancora vigenti. Attualmente, le donne turche evitano di frequentare i Kiraathane a causa di questo storico divieto e del fatto che molte di loro non si sentono a loro agio in tali luoghi. Al contrario, esistono locali specificamente pensati per la frequentazione femminile, noti come Hanimlar lokali.

In questo incontro, le nostre diverse identità culturali si sono fuse, generando un profondo senso di appartenenza e questa tradizione millenaria sembra aver ceduto il passo a una connessione umana innata, svelando un desiderio comune di comprensione reciproca. Questo incontro diventa simbolo di come l’ospitalità possa superare differenze storiche, aprendo le porte a uno scambio di esperienze arricchente e al consolidamento di legami umani profondi.

Quest’esperienza rappresenta un capitolo prezioso nella nostra avventura, insegnandoci l’importanza di metterci in gioco, superare le paure e abbracciare l’ignoto. È un frammento di un mosaico di esperienze che ci ha fatto capire che il viaggio è non solo un percorso fisico ma anche un’opportunità di crescita personale e apertura verso nuovi orizzonti.

Le diversità a volte spaventano ma se si è aperti ad accoglierle spalancano occasioni di comprensione e profonda conoscenza: “differenze di abitudini e linguaggi non contano se i nostri intenti sono identici e i nostri cuori aperti”. J.K. ROWLING

 

Articolo di Nicole Pizzolato. Foto di Lara Berthod

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